La riserva cade sul territorio di Custonaci ed unisce luoghi incantevoli come la baia di Cornino, la cala del tono e la spiaggia di Makari. La macchia mediterranea si arrampica fin sulla cima di monte Cofano e si specchia sul mare che lambisce le sue pareti. Tra una piega e l’altra della montagna costruzioni rurali, antiche torri e grotte, testimoniano l’insediamento umano sin dal Neolitico. Tra le pareti sopra la baia di Cornino, che guarda verso le isole Egadi, un antico villaggio miniato è diventato negli ultimi decenni l’affascinante scenografia di un museo vivente. Si tratta di uno sparuto gruppo di costruzioni rurali incastonato sulla montagna dove abili figuranti inscenano per i visitatori la vita di una antica comunità artigiana, in cui si intrecciano panieri, si impasta il pane, si lavorano le ceramiche, si molisce il grano e le olive, si ricama. Sul versante opposto, cui si accede dalla statale per Castelluzzo, o dopo una straordinaria passeggiata su per le colline, passando per una sella naturale, si trova laTorre di Tuono, l’unica in Sicilia consuma pianta a stella, eretta nel 1500 a servizio della tonnara per l’avvistamento dei banchi di pesce. Chi ama praticare il trekking o la mountain bike può percorrere il periplo del monte grazie ad un sentiero della forestale o per i sentieri mappati dal CAI. Lungo il percorso c’è anche una piccola cappella dedicata al Crocefisso nei pressi della Grotta del Crocefisso e poco più avanti la Torre di San Giovanni che, a differenza di quella di Tuono, faceva parte del sistema di fortificazioni volute dal regno borbonico a difesa delle coste siciliane. I più audaci e con buoni scarponi possono invece salire dal Sentiero Scaletta, chiamato così perché si tratta di una vera e propria scala scavata sulla pietra della montagna verosimilmente già in era preistorica; superata la sella si prosegue sul sentiero della forestale. Un ripido sentiero giunge quasi in prossimità della vetta, partendo da Piano Alastre ma è consigliabile salire solo con un esperto della zona. Vi si trova una pozza stagionale che, asciutta in estate, si riempie in inverno d’acque e di piccoli crostacei.
La riserva dello Zingaro si estende dalla penisola di San Vito Lo Capo alla città di Castellamare del Golfo. La costa è costituita da una roccia sedimentaria ricca di calcio e magnesio che risale all'era geologica del mesozoico. La sua conformazione fa sì che questa roccia incontri il mare in numerose calette, raggiungibili percorrendo il sentiero che attraversa la riserva, completamente priva di strade carrabili. La flora, che ricopre questo piccolo paradiso, lo rende un angolo di macchia mediterranea sempre verde ed è ricca quanto la fauna che lo abita: tra le specie di mammiferi che vi si possono trovare ricordiamo il coniglio, la volpe, il riccio e l'istrice, mentre il Monte Speziale accoglie ben 39 specie di uccelli. La riserva consente di mantenere incontaminato tutto il territorio di competenza della stessa ed anche il tratto di mare che la circonda è soggetto a particolari restrizioni per quanto riguarda la navigazione e la pesca, con lo scopo di favorire il moltiplicarsi della fauna marina costiera. La riserva è oggi gestita dal demanio forestale della regione Sicilia. Questo territorio antropizzato fin dal paleolitico come testimoniano gli scavi effettuati presso la grotta preistorica dell' Uzzo, conserva ancora le tracce del sodalizio dell'uomo con la terra. I frassineti, i mandorleti, gli oliveti, i resti di vigneti ormai inselvatichiti, gli alberi da frutto dai sapori antichi, un tempo fonti di sussistenza degli uomini che abitavano questi luoghi, fanno parte ormai del paesaggio agrario. Sono diversi gli edifici rurali in cui ci si imbatte sui sentieri che percorrono la riserva e sono stati restaurati per accogliere mostre sull’artigianato locale, come sulla tradizionale pesca del tonno e sulla vita preistorica. L’agglomerato più significativo e Baglio Cusenza un piccolo villaggio che ospitava ben 14 famiglie di agricoltori e che fu gradualmente abbandonato nei primi decenni del secolo scorso. La palma nana (Chamaerops humilis) che oggi è il simbolo della Riserva, rappresentava un tempo unitamente all'ampelodesma una significativa fonte di reddito. Infatti, oltre ad essere utilizzata per confezionare manufatti per uso quotidiano (borse, stuoie, corde, cappelli, scope, ventagli per attizzare il fuoco ecc.), le foglie raccolte nel periodo estivo venivano vendute alla fabbriche di crine dei paesi limitrofi e commercializzate in tutta Europa. Mentre l'ampelodesma veniva venduta alle tonnare per costruire le reti. La scuola dell'intreccio delle fibre vegetali è il fiore all'occhiello del recupero delle tradizioni. Abili intrecciatori lavorano la palma nana, la canna e l'ulivo, il giunco, la ferula e gli steli di grano. I manufatti prodotti sono in esposizione presso il centro visitatori della Riserva.